Rimel Neffati e l’incarnazione del tempo come favola

 

 

Rimel Neffati autoscatto
Rimel Neffati autoscatto

L’occhio, meglio ancora direi la percezione visiva, ristagna in uno stato di emergenza contenutistica che né l’orecchio né il vuoto istinto percettivo riescono a comprendere.

L’idea mistica dello sguardo nel momento del suo impatto con le cose di superficie, si deteriora velocemente ed in senso progressivo.

La realtà oggettiva della vita non è vissuta dall’occhio ma da ciò che gli permette di esistere, cioè la stessa vita (è la vita a viversi).

Siamo noi ad autonegarci l’esistenza stessa di una possibilità altra dell’essere vivi.

In realtà siamo abituati ad una vita che è superficiale e parallela (ad un’altra, a mille, a milioni di altre vite) al tempo stesso, una vita che agisce come un rivestimento repulsivo a qualunque sollecitazione profonda, una sorta di grande buccia di plastica di cui il nostro corpo è il frutto celato, che mantiene il mistero assoluto nel suo seme originario.

La vita giace nel vuoto colmato dal silenzio e solo l’orecchio può udire questo silenzio che è assoluto. E’ l’orecchio che trasforma la mente in un brodo di logica e materia. Il silenzio è abbandono alla vita, interruzione della voce dell’esistenza.

Il Tempo è la verità, non il tempo misurato, ma il tempo nato dal vuoto (fertile) della vita stessa.

Ora, cosa succederebbe se comprendessimo quel Tempo?

Forse che faremmo di quel Tempo un tempo incarnato, e dove potrebbe incarnarsi se non nelle favole?

Quando guardo alle fotografie della Neffati, l’occhio si chiude aprendo la mia percezione ad una dimensione totalitaria di luce e armonico silenzio che tutta mi abbraccia.

E’ questo uno stato che tutti abbiamo provato della gioia dell’infantile libertà, quando potevamo essere tutto ovunque, quando la magia, la favola, il sogno erano tangibili proprio perchè in quella dimensione di Tempo incarnato, esistevamo.

Ed è così che quella possibilità altra (che ci neghiamo da adulti) crea. Crea mille mondi che sono diversi e uguali, che avvengono ora, domani e ieri in una danza di finestre che si aprono e si chiudono col cambiare del vento.

E’ questa la danza di Rimel Neffati. Le sue foto sono dei ricordi di un non vissuto che ci appartiene.

Quando le guardi, i confini di tutti i mondi possibili si dissolvono l’uno nell’altro, riflettendosi l’uno nell’altro così da rendersi visibili (si pensi allo specchio o si ascolti “Spiegel im Spiegel” di Arvo Pärt – certe melodie afferrano talune questioni meglio di qualunque filosofia)

Nelle sue foto entrano in gioco memoria, desideri, speranze in un luogo non-luogo in cui non esistono morale, tradizione, regole. Si tratta di immagini – luoghi talmente reali che sentiamo il bisogno di classificarle come surreali introducendone l’idea di sogno.

Da un lato ci parlano di una fissità eterna, dall’altro ci raccontano storie di qualcosa di generato e corruttibile, un po’ come la doppia verità di Averroè, volendo però ricordare il concetto pur nella sua negazione di fatto.

Insomma, come al solito, al di là di tutte queste parole, vi lascio con l’invito a vivere negli scatti della Neffati, come al solito senza dirvi niente di lei con la speranza che possa avervi incuriosito e che magari il suo nome e le sue immagini possano abitare in qualche stanza segreta della vostra esistenza.

Info: www.rimelneffati.com

Lucia Lo Cascio

Rimel Neffati autoscatto
Rimel Neffati autoscatto

 

Rimel Neffati autoscatto
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Rimel Neffati autoscatto
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Rimel Neffati autoscatto
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Rimel Neffati autoscatto
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