
Loredana Aloisi Banotti, Feliciano Banotti, Michele Bianchi e Carmelo Licitra Rosa presentano la seconda fase del Seminario “Uomo e donna. Dall’unione impossibile alla contingenza dell’incontro”. Sabato 19 dalle ore 15:30 alle ore 21:00, nella “Casa dello scrittore” della FUIS (Federazione Unitaria Italiana Scrittori) di via Lungotevere dei Mellini 33/A dalle ore 15:00 di sabato 19 maggio si svolgerà un’anteprima del Cineforum Italo-Croato intitolato “Uomo e donna”, di cui sono previsti sei successivi appuntamenti in giugno.
SCALETTA INTERVENTI
1. POLITICA E PSICOANALISI
Michele Bianchi “Note sull’estetica dello jus sanguinis di Elvira Banotti”
Carmelo Licitra Rosa “La parola e il corpo dell’essere sessuato”
2. POLITICA E CINEMA
Gloria Rebecca Kassar “Presentazione del film ‘Immigration Kingdom’ (2019)”
Gloria Rebecca Kassar e Ella Mische “Presentazione del cortometraggio ‘Tout la vie’ (2017)”
Michele Bianchi “Interpretazione di ‘Tout la vie’”
Loredana Aloisi Banotti e Feliciano Banotti “Presentazione del documentario ‘Parole di Shahràzade’ (1995)”
3. LETTURE DEI MANIFESTI (a cura dell’attore Mauro Leuce) “Manifesto di rivolta femminile” (1970)
“Manifesto per una filosofia dell’inter-cultura (2013)

La donna non va definita in rapporto all’uomo (Elvira Banotti, et al., Manifesto di rivolta femminile, 1970) L’homme et la femme, nous ne savons pas ce que c’est (Jacques Lacan, …ou pire, 1972)
Come anteprima della Rassegna di cinema italo-croato “Uomo e donna” sabato 19 è prevista la proiezione di un cortometraggio e di un filmdocumentario. Quest’ultimo non verrà proiettato sabato, ma solo presentato insieme al progetto di un lungometraggio sui problemi dell’immigrazione. Il corto in oggetto, “Tout la vie”, è del 2017 ed è stato girato dalla regista-attrice croata Ella Mische. “Immigration Kingdom” è invece il titolo del lungometraggio scritto dalla produttrice italiana Gloria Rebecca Kassar, a cui ha collaborato la Mische. Si tratta di un progetto a padiglioni, in cui tradizioni religiose diritti umani e leggi europee e statunitensi sull’immigrazione promulgate dal 1980 ad oggi risultano compresenti. Il film-documentario di Elvira Banotti “Parole di Shahràzade” fu originariamente presentato a Pechino nel 1995 durante la Quarta Conferenza Mondiale dell’ONU sulle donne, alla quale parteciparono tutti gli Stati membri dell’Unione europea. La novità di Pechino consistette nel riconoscimento della necessità di spostare l’accento, nel discorso culturale dominante, dalla donna al concetto di sesso. Con ciò si riconosceva che l’intera struttura della società, e tutte le relazioni fra uomini e donne all’interno di essa, dovevano essere rivalutate. Solo mediante una simile revisione della società e delle sue istituzioni, alle donne avrebbero potuto essere pienamente attribuiti il potere e le responsabilità necessarie ad assumere il loro giusto posto come partner paritario degli uomini in tutti gli aspetti dell’esistenza. Questo cambiamento costituiva una forte riaffermazione del fatto che i diritti delle donne erano da considerare come diritti umani nel loro significato più pieno, e che l’uguaglianza dei sessi rappresentava un tema di interesse universale.
Ora, il reportage di Elvira Banotti veniva a scompaginare o addirittura a guastare l’ottimismo di Pechino. “Parole di Shahràzade” evidenzia addirittura l’esistenza di un nesso stretto tra la teoria assassina del racconto de “Le mille e una notte” e la Quarta Conferenza Mondiale dell’ONU, secondo la femminista italiana tenuta saldamente in pugno non da donne ma da burocrati/e, da partiti e clerici dubbi (sia cattolici che islamici), una conferenza-nullità che venne così paragonata alla parola di Shahràzade, la schiava-fanciulla costretta a consumare ogni notte un rapporto sessuale con il re di Persia e a sproloquiare per mille e una notte per poter sfuggire al suo assassino.
Michele Bianchi
il Seminario riprende nel contesto della Biennale di Pomezia giovedì e venerdì
giovedì 31 maggio: L’anima (I parte del seminario “Uomo e donna” ovvero “Il femminile nell’arte”)
Michele Bianchi
Gli immigrati nell’anima. Dall’estetica dello jus sanguinis alla metacritica dell’infanzia, ovvero il femminile nell’arte
Stefano Valente
Il manifesto per una filosofia dell’inter-cultura e gli esempi della pittura di icone e dell’arte cinematografica
venerdì 1 giugno: Il labirinto (II parte del seminario “Uomo e donna” ovvero “Il femminile nell’arte”)
Michele Bianchi
Il labirinto dei demoni. Film quadro dramma in Luis Buñuel, Salvador Dalí, Ernesto G. Laura
Stefano Valente
Labirinto e salvezza. Alcune riflessioni sul film ‘Shining’ di Stanley Kubrik
dedica e cura
Il Seminario sul femminile nell’arte (“Uomo e donna. Dall’unione impossibile alla contingenza dell’incontro”) è dedicato ad Elvira Banotti e coordinato da Loredana Aloisi Banotti, Feliciano Banotti, Michele Bianchi e Carmelo Licitra Rosa.
sinossi
Uno dei risultati tipici dell’arte eucaristica di Salvador Dalí nella fase cosiddetta “atomica” della sua produzione è rappresentato dal dipinto del 1949 Madonna di Port Lligat, dove l’assenza è giocata a vari livelli. Tra i diversi, l’esplosione del trono della Madre di Gesù è anche la confessione di un’intenzione di farla finita a tutti i livelli e che però lascia in sospeso il perdono possibile, e così la salvazione di tutti i fenomeni dell’umano. Tutto si sposta dalla parte del fruitore, e non resta fissato all’artista. Tutto si sbilancia dalla parte di chi osserva il dipinto, metafisicamente lasciato solo a decidere come prendere posizione di fronte all’opera: 1) Non può essere il trono della Madre di Dio: il pittore ha inteso rappresentare anticristicamente il disfacimento del trono, la sua disgregazione nella serie dei blocchi di granito; è l’antitrono. 2) È proprio il trono – l’unico possibile trono – della Madre di Dio, poiché il simbolo della carità (il corpo di Cristo) tiene uniti i pezzi della costruzione che si staccherebbero se non fossero uniti dall’amore. Così, la riuscita estetica di un’opera d’arte sta nel riuscire a tenere insieme luoghi e tempi radicalmente diversi, tra un antropomorfismo possibile e una dimensione femminile impossibile. Antinomia uomo/donna incarnata nell’opera. Il secondo giudizio non può essere espresso perchè in eccesso rispetto ai fatti quali appaiono: il trono della Madonna esplode in mille pezzi. Il pubblico non avrebbe che la possibilità di formulare il primo giudizio, se non fosse che l’opera riesce a convincerci di qualcosa d’altro, dell’impossibile rispetto ai fatti quali appaiono. Così non può essere espresso alcun giudizio. Questa esperienza di una possibilità, questo bivio che è la nostra possibilità, e che in quanto possibilità costituisce una tentazione, è già un male. L’opera ci offre allora l’occasione di superare la zona del possibile, proprio perché l’ha mostrata in modo puro, senza innesti ideologici, tipici delle opere d’arte non riuscite, tendenti a disambiguare la tensione tra i due giudizi per il piacere eccitatorio del pubblico. Del resto se non ci fosse tale zona, dove si fa l’esperienza della tentazione, nessuno potrebbe sfuggire alla gabbia dell’umano, ed essere di più di quello che è. Intrappolato vivrebbe la tortura di produrre enunciati e senso solo sulla condizione sovrumana, invece di tacere su di essa, come fanno le vere opere d’arte.
Grazie!