Roberto Calasso – “Le nozze di Cadmo e Armonia”: il giorno in cui gli dèi scesero a ballare

 

Cadmo cammina. Un principe fenicio che cerca sua sorella, Europa, e invece trova una mucca. Seguendo la mucca trova una terra, e in quella terra fonda una città. Non dove voleva, non dove pensava, ma dove la mucca si ferma. Tebe nasce così, per uno scherzo del caso, o per una legge segreta. Calasso lo sa e lo racconta. Dice: non c’è civiltà senza obbedire a un segno.

 

Il segno è il mito. Il segno è l’ordine che gli dei impongono nel caos. Ma l’ordine è anche una maledizione. Cadmo uccide un serpente sacro. Per fondare qualcosa, bisogna distruggere. Il sangue del serpente entra nella terra. Dai suoi denti nascono uomini, armati, pronti a uccidersi. Così inizia tutto: con una violenza che si nasconde sotto le fondamenta.

“Cadmo e Armonia sul carro” del Pittore di Diosphos (circa 500 a.C.)

 

Le nozze di Cadmo e Armonia sono il momento in cui tutto si ferma, si sospende. Per un giorno. Per una notte. Zeus, Apollo, Dioniso sono tutti lì. Gli dei scendono, si mescolano agli uomini. La Grecia è in quel punto preciso, in quel momento, in quell’incontro tra due mondi che non dovrebbero toccarsi. Perché quando il divino incontra l’umano succede qualcosa di irreparabile.

“Cadmo e Armonia” incisione di Paul Bouché

 

Cadmo e Armonia ricevono doni. Armi. Vestiti. Gioielli. La collana di Efesto, la più bella, la più splendente. Ma ogni dono porta con sé una rovina. Perché gli dei non sanno dare senza prendere. Perché la bellezza è sempre un inganno. Calasso lo scrive con la precisione di un chirurgo e la voce di un profeta. La bellezza è la promessa di un mondo perfetto. Ma il mondo perfetto non esiste. E allora la bellezza si spezza, diventa veleno, diventa il seme della tragedia.

 

I discendenti di Cadmo e Armonia lo sanno. Lo scoprono nei loro corpi, nei loro destini. I loro figli, i loro nipoti. Tutti maledetti. Penteo, il re che non vuole credere a Dioniso e per questo viene fatto a pezzi. Semele, che vuole vedere Zeus nella sua vera forma e per questo muore bruciata. Antigone, che sfida la legge e finisce impiccata. Ogni storia è un’eco delle nozze. Ogni storia è un frammento di quella notte perfetta, di quel giorno luminoso in cui tutto sembrava possibile.

Piatto istoriato con la rappresentazione di Cadmo e Armonia trasformati in serpenti. Bottega di “Virgiliotto” Calamelli. Faenza metà del XVI secolo.

 

E poi c’è la fine. Perché ogni cosa ha una fine. Cadmo e Armonia vengono trasformati in serpenti. Si allontanano, strisciano via. La civiltà che hanno fondato li ha respinti. O forse era tutto già scritto. Il destino greco è un destino che si compie sempre. Il tempo è un cerchio, un nodo che si stringe. Calasso racconta la Grecia come un sogno che si spegne. Un mondo in cui gli dei sono presenti, troppo presenti, e proprio per questo devono andarsene.

 

Il mito non è una storia passata. È ciò che ancora ci tiene insieme. Il linguaggio, il potere, il desiderio. Sono tutte ombre delle nozze di Cadmo e Armonia. Siamo ancora lì, in quel punto esatto. Stiamo ancora guardando quella festa, ascoltando quella musica. Ma gli dei non ci parlano più. Sono andati via. Ci hanno lasciato i loro doni, la loro eredità. E la loro maledizione.

“Rilievo con menadi danzanti” (IV secolo a.C.)

 

E poi c’è Dioniso. Dio che non è dio, figlio che non è mai stato solo un figlio. Dioniso non nasce come gli altri. Viene cucito dentro Zeus, viene custodito, trattenuto, fino a quando non può più stare nascosto. Nasce due volte, Dioniso, e già questo basta a farlo altro. Il dio che viene, il dio che porta la febbre. La danza, il vino, il grido delle donne che lo seguono. Dioniso arriva e il mondo trema. Perché Dioniso non è come gli altri. Non vuole templi, non vuole statue. Vuole corpi. Vuole sangue. Vuole che il mondo si spezzi e si ricomponga sotto il segno della sua follia.

 

Penteo non ci crede. Non può crederci. Lui è un re, un uomo di ordine. Dioniso è il caos. E il caos deve essere fermato. Ma il caos non si ferma. Il caos divora, il caos si infiltra nelle ossa. Le donne di Tebe lo sanno. Lo sentono. Penteo si veste da donna per spiarle, per capire. Ma il dio non si lascia capire. Penteo viene sbranato. Sua madre lo uccide senza riconoscerlo. Perché Dioniso non perdona chi non lo riconosce. Dioniso è il dio che distrugge e che salva. Ma la salvezza passa sempre attraverso il fuoco.

 

Orfeo ed Euridice, Frederic Leighton, 1864, olio su tela

E poi Orfeo. Orfeo che canta, Orfeo che incanta. Orfeo che scende negli Inferi per Euridice e poi si volta. Perché si volta? Nessuno lo sa. Per paura. Per troppa speranza. Perché è già scritto che deve voltarsi. Perché i morti non possono tornare. Orfeo è il primo poeta, il primo uomo che sa che la bellezza non può essere trattenuta. Che la vita è solo un attimo prima della perdita.

 

E poi Elena. Il volto che ha fatto partire mille navi. La donna che non è una donna. Un’ombra, un riflesso, un desiderio che non si può mai possedere davvero. Troia brucia per lei, ma lei non è lì. O forse sì, ma non è importante. Perché Elena non è solo una persona, è un’idea. L’idea di una bellezza che non appartiene a nessuno, che distrugge chiunque cerchi di afferrarla.

Elena di Troia di Evelyn Del Morgan

 

E così finisce. La Grecia finisce. Gli dei si allontanano, le storie si frantumano. Roma arriverà, prenderà i miti, li trasformerà in marmo, in legge, in storia. Ma qualcosa rimane. Le nozze di Cadmo e Armonia rimangono. Rimangono nel linguaggio, nei sogni, nei libri. Nei gesti ripetuti senza sapere perché. Perché la Grecia non è mai veramente finita. Perché gli dei, anche se non parlano più, sono ancora qui. Nascosti. In attesa.

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