Negazione di Direzione. Emiliano Yuri Paolini e la questione del senso


NEGAZIONE DI DIREZIONE N.5 cm 120 x 60       (SMALTI CARROZZERIA ROSSETTI CIF su TELA)
NEGAZIONE DI DIREZIONE N.5 cm 120 x 60
(SMALTI CARROZZERIA ROSSETTI CIF su TELA)

Torno con piacere a scrivere sull’opera di Emiliano Paolini. In questo breve articolo vorrei soffermarmi su una serie di tre tele intitolate: “negazione di direzione” – ma prima una precisazione.
Chi scrive è tutto fuorché un critico d’arte ed il suo interesse per l’arte non è di tipo professionale. Non sono in possesso di nessuna patente che mi autorizzi a pronunciare giudizi su questa o quell’opera d’arte; eppure non sono propriamente un dilettante, né un critico della domenica.
Il mio interesse per l’arte ed in particolar modo per le opere di Emiliano Paolini è – vorrei dire – di natura filosofica.
Mi spiego. Nello scrivere questo articolo non sono tanto interessato a sottolineare la cosiddetta “qualità estetica” delle realizzazioni di Emiliano (del resto non c’è bisogno che sia io a mettere in evidenza il suo indubbio talento); né mi importa inserire nel contesto della storia dell’arte più o meno recente la sua produzione artistica; tanto meno è mia intenzione enucleare qualcosa come una sua poetica.
Ma allora cosa significa accostarsi da filosofo all’arte ed alle opere di Emiliano in particolare? Vuol dire interrogarsi sul senso del nostro essere nel mondo sull’occasione di quella che non da molto tempo chiamiamo opera d’arte.
Ora le realizzazioni di Emiliano offrono al filosofo l’occasione (ma non il pretesto!) per tale messa in questione del senso e del significato di quella esperienza in genere in cui tutti noi siamo immersi; esperienza che per questo non possiamo a rigore oggettivare e conoscere scientificamente, anche se possiamo coglierne tutto il senso e tutto il non senso proprio attraverso le opere d’arte (riuscite!).

Nel nostro caso sappiamo fin dal titolo delle tre opere qui in esame che la questione del senso è centrale. Tuttavia Emiliano nella sua produzione artistica non si è mai abbandonato ad una enfatizzazione ampollosa o solamente retorica della necessità di una ricerca intorno al senso delle cose, ma l’ha messa in opera dando così a questa inevadibile questione uno spessore ontologico che in nessun modo può essere confuso con quei sociologismi e psicologismi con cui siamo soliti affrontare non solo sui giornali o alla televisione tali domande.
Emiliano, infatti, riesce attraverso la sua arte a mettere in forma in maniera esemplare quella che qui per brevità abbiamo chiamato questione del senso che specialmente oggi è questione centrale per ogni riflessione che si voglia filosofica. Da questo punto di vista la sua opera offre non solo al filosofo, ma all’uomo comunque interessato a cogliere il senso del nostro essere nel mondo una occasione che vale la pena di essere colta.
Queste tre opere (acrilico e carbone su tela o su legno) dovevano essere le prime di una serie di cento e sono state realizzate tra la fine del 2004 ed il 2005 nello stesso periodo in cui a Palazzo dei Capitani in Ascoli Piceno veniva allestita la mostra L’ora dell’oro, esposizione fondamentale per chi voglia comprendere il percorso recente dell’artista.
In ogni tela ricorre lo stesso tema anche se declinato in modi diversi: da un intrico di linee e colori emerge una freccia la cui forma è abbastanza riconoscibile e ben distinta eppure al tempo stesso i suoi contorni hanno margini labili ed indecisi che mettono i colori e le linee di confine della freccia in dialogo col resto della composizione cioè con lo sfondo su cui la freccia si staglia: orizzonte da cui questa rischia continuamente di essere riassorbita.

NEGAZIONE DI DIREZIONE N. 10 cm 160 x 90                   (carbone smalti carrozzeria cif cementite stoffa                    antica e ammuffita su tela)
NEGAZIONE DI DIREZIONE N. 10 cm 160 x 90
(carbone smalti carrozzeria cif cementite stoffa
antica e ammuffita su tela)

La cosa che subito mi ha colpito non è il tema della freccia, che può far pensare ad un autore come Klee dove, però, il tratto ha più una funzione narrativa che è completamente assente in queste tele di Emiliano; mi ha colpito il titolo, o meglio: mi ha preso e coinvolto il gioco di rimandi che si instaura tra l’opera ed il suo titolo. Tale gioco di rimandi viene innescato da una dissociazione fondamentale per la quale in primo luogo abbiamo di fronte una freccia (non siamo ancora del tutto consapevoli di trovarci di fronte ad una immagine di una freccia) eppure il titolo ci dice che qui la freccia non sta ad indicare una direzione (come fanno tutte le frecce del mondo) bensì ha a che fare non con una affermazione ma con una negazione di direzione.
Prima conseguenza di questa dissociazione è che quella freccia che vediamo davanti a noi ora è ed insieme non è una freccia. Questa piccola (ma non innocua) esperienza di spaesamento ci fa nascere la domanda: se non è una freccia (come quelle che incontriamo tutti i giorni quando per esempio guidiamo la nostra automobile) che cosa è? Potremmo dire che si tratta di una immagine che rappresenta una freccia (immagine che potremmo incontrare per esempio entrando in una scuola di guida). È un po’ presto per dirlo ed infatti tale risposta non è capace di rendere familiare quella sensazione di spiazzamento che il titolo dell’opera ci aveva procurato.
Ma allora su cosa riposa il senso di disorientamento che proviamo di fronte a questa strana freccia? Per tentare di rispondere a questa domanda dobbiamo innanzitutto renderci conto di un piccolo (ma non innocuo) paradosso su cui si sono interrogati filosofi del calibro di Ludwig Wittgenstein, ma che è sotteso ed implicito ad ogni nostra comune esperienza di una freccia e non solo di una freccia (si tratta, infatti, di un paradosso-fondante cioè di un paradosso che inevitabilmente incontriamo quando tentiamo – e tentare in qualche modo dobbiamo – di comprendere il senso della nostra esperienza in genere).
Quando nella vita di tutti i giorni vediamo una freccia cosa vediamo? Vediamo un segnale (non si tratta propriamente di un vedere, possiamo dire che si tratta di un reagire) cioè qualcosa che rimanda a qualcosa d’altro, un segno che indica qualcosa, in questo caso una direzione (un senso di marcia, per esempio). Fin qui niente di strano – eppure per guardare dove indica la freccia dobbiamo pur guardare la freccia: ecco il paradosso!
La freccia – questo è il paradosso – per riferirsi ad altro deve riferirsi a se stessa. Se vogliamo parlare come parlano i filosofi dobbiamo dire che l’etero-referenzialità del segno si dà solo grazie alla sua auto-referenzialità.

NEGAZIONE DI DIREZIONE N.9 cm 120 x 60                   (carbone smalti rossetti su tela)
NEGAZIONE DI DIREZIONE N.9 cm 120 x 60
(carbone smalti rossetti su tela)

Ma andiamo avanti. Appena prendiamo consapevolezza di questo paradosso – e le opere qui in esame hanno addirittura la capacità di farci sentire tale paradosso prima ancora di farci pensare ad esso – cominciamo a vedere in modo diverso la freccia raffigurata nel quadro: è come se vedessimo una freccia per la prima volta.
Le tele di Emiliano ci fanno fare una esperienza quanto meno diversa di una freccia: questa non è più solo un segnale che rimanda ad altri segnali ed in ultimo al codice della strada (se vogliamo continuare ad attenerci al nostro esempio). In fondo Emiliano riesce a suscitare in noi la meraviglia per qualcosa che abbiamo continuamente sotto gli occhi, ma che proprio per questo non vediamo mai. Se ci lasciamo provocare da queste tele al senso di spaesamento segue qualcosa che sarebbe difficile definire: in chi guarda si avvia un processo sia percettivo che riflessivo che potrei descrivere dicendo che sotto i nostri occhi il segno diventa immagine.
Non è possibile caratterizzare ulteriormente le modalità di questo processo: dobbiamo farne esperienza!
Io mi limito ad alcune brevi considerazioni sulla natura del segno e su quella dell’immagine – il mio compito, infatti, non è quello di spiegare il significato di queste opere, ma è quello di condurre al senso di queste al fine di mettere in grado chi guarda di fare una esperienza.
Quale è la funzione del segno? Il segno è un qualcosa che sta per qualcosa (per qualcuno). La sua funzione sta nell’indicare qualcosa d’altro. Il segno mi dice l’altro da sé e si consuma tutto in questo rimandare ad altro. Ma se il segno mi dice l’altro da sé, cosa mi dirà l’immagine?
Per rispondere a questa domanda ci viene in aiuto ancora una volta Wittgenstein. Nel paragrafo § 522 delle Ricerche filosofiche egli si chiede: Ma allora che cosa mi dice l’immagine? E così si risponde nel paragrafo successivo: “L’immagine mi dice se stessa” – vorrei dire. Vale a dire, ciò che essa mi dice consiste nella sua propria struttura, nelle sue forme e colori.
Emiliano proprio per aver sospeso o messo tra parentesi la funzione significante della freccia (il suo essere segno) mette lo spettatore nella condizione di fare esperienza con la sua opera (i suoi colori, le sue forme e la sua struttura) e non con un suo preteso significato (perciò a chi guarda non viene nemmeno in mente di chiedersi: ma che significa?).
Grazie alla dissociazione messa in atto dal titolo (un titolo la cui funzione non è quella di dirci cosa rappresenta il quadro, ma che, anzi, sospende ogni riferimento a qualsivoglia rappresentato) si instaura tra segno ed immagine un gioco continuo di rimandi la cui inesauribilità riposa inquieta proprio sulla fondamentale irriducibilità dell’immagine al segno e del segno all’immagine (qui non ho modo di affrontare questa fondamentale questione – invito chi voglia approfondirla alla lettura dell’ormai classico saggio di Cesare Brandi intitolato appunto Segno e Immagine).

NEGAZIONE DI DIREZIONE N. 7 cm 120 x 60       (SMALTI CARROZZERIA ROSSETTI CIF su TELA)
NEGAZIONE DI DIREZIONE N. 7 cm 120 x 60
(SMALTI CARROZZERIA ROSSETTI CIF su TELA)

Questo va e vieni tra segno ed immagine invece di paralizzarci (paralizzare a un tempo e la nostra percezione e la nostra riflessione) come farebbe una contraddizione, ci dà piacere e ad un tempo ci dà da pensare contribuendo ad espandere, dilatare, estendere, rendere plastica e più flessibile la esperienza che comunemente facciamo sia dei segni che delle immagini con cui abbiamo continuamente a che fare nella nostra vita quotidiana.
Non è facile esprimere in parole le complesse dinamiche che qui sono in gioco. Mi limito solo a due osservazioni. Da una parte la sospensione della funzione segnica della freccia messa in opera da Emiliano ci mette in qualche modo sotto gli occhi una sorta di significante che, invece, di rimandare ad altro si ripiega su se stesso fino al limite dell’insignificanza (non è un caso che il modo in cui la freccia è dipinta dall’artista ricordi non tanto alla lontana i graffiti che ormai riempiono molti muri delle nostre città ). Dall’altra parte questo ripiegarsi del segno su se stesso nel metterci sotto gli occhi il processo che ci fa passare dal segno all’immagine ci apre ad una esperienza nuova e radicale dell’apparire stesso per cui a chi guarda non appare più o questo o quello, ma appare l’apparire medesimo ( i colori, le forme e la struttura dell’immagine).
Emiliano riesce a mettere in forma, riesce a rappresentare al limite proprio ciò che non si può rappresentare cioè quella doppiezza paradossale per cui è possibile riferirsi ad altro solo riferendosi a sé. Anche i filosofi cercano di dar conto di tale doppiezza (che qui ho esposto come doppiezza di segno ed immagine) discutendo, per esempio, il famoso problema dello schematismo su cui Kant per primo ed in modo esemplare si è cominciato ad interrogare.
È come se Emiliano riuscisse a cogliere non solo la transitività della rappresentazione cioè il suo consumarsi nel rimandare al suo rappresentato; ma anche la sua intransitività cioè riesce a cogliere quello che nella rappresentazione non si riferisce all’oggetto della rappresentazione e che Emiliano (durante una intervista in occasione della mostra L’ora dell’oro) ha chiamato aspetto soggettivo. Tuttavia bisogna precisare che il termine “soggettivo” non deve far pensare – per esplicita dichiarazione di Emiliano – all’artista soggetto creatore di ascendenza romantica. Se oggettivo è tutto ciò che nella rappresentazione si riferisce al rappresentato, soggettivo sarà tutto ciò che in essa si riferisce alla rappresentazione in quanto tale (aspetto che non può essere detto, ma solo mostrato).
Ora la freccia dipinta da Emiliano non indica più in questa o quella direzione; ma nel suo paradossale indicare se stessa – e così apparire per se stessa in tutta la sua insostenibile insignificanza – non si limita a ricordarci che l’uomo è un segno senza significato (Holderlin), ma comincia a fare segno verso una ulteriorità irriducibile a segno o ad immagine che spesso Emiliano chiama l’oltre-altro della rappresentazione. Una ulteriorità indicibile ed irrappresentabile che non abita al di là delle nostre collezioni di immagini e dei nostri sistemi di segni, ma che si dà proprio nel loro stesso cuore.

Stefano Valente