Mani, pancia, fianchi.. parrebbe ad un primo sguardo un’esultanza del corpo, ma hai osservato bene?, mi sono detta, già perché qui il corpo è assente! Prepotente la presenza del dolore, di un dolore, forse alla greca onnipresente e da sopportare o forse personale o ancora quel dolore che parla di una ferita originaria. Ma il corpo, quello no, non c’è. Eleonora Manca sembra riprendere il discorso di Carmelo Bene e Francis Bacon. Anche in loro la carne presentissima è assente.
Se la materia è incontro (Deleuze insegna), tale materia deve essere aperta, attiva, vivente quasi una non materia. Quando dico che il corpo assente è questo che intendo, il corpo inteso come apertura, un divenire, un accogliere continuo. E’ un cuore che si contrae e si dilata, prendere per dare. Io sono il mio dolore dice questa assenza, ma il mio dolore non è me.
Dolore e movimento. Il cuore prende il dolore e il corpo lo rilascia trasformato in qualcosa di buono, di bello, di quella bellezza che ci salverà perché è l’unica che resta, l’unica che ricorderemo. Movimento dunque, ma non quello delle pose che pur sembrano danzare. Il movimento, la danza che ci abbaglia è l’apertura del continuo cambiamento che caratterizza la non materialità, la relazione col tutto ed il suo trasformarsi continuo.
E’ schizofrenia dell’immagine. Come essa infatti c’è una scissione dal corpo, il corpo viene fatto a pezzi per meglio sentirlo. La schizofrenia sente tutto. L’esperienza del corpo è esperienza dell’informe, degli organi senza il corpo. Ed il corpo si fa dissolvenza. Decostruendo il soggetto do potere all’immagine. Io mi mostro dunque io esisto ma esisto in uno, due, cento frammenti di me che si disperdono.
C’è dunque in Eleonora un costante rinvio allo sgretolamento, all’inconsistenza del soggetto di contro al suo credersi intero. Perdere il significato di sè, della completezza è la strada per giungere veramente al corpo. Abbandonarlo, perdere i pezzi per poi costruirsi consapevoli. Liberarsi dell’anatomia è liberarsi dal dolore originario di cui quel Dio creato/creatore è colpevole (ed è forse questo il vero peccato originale, quel senso di impotenza rispetto al dolore il cui potere abbiamo delegato a un Dio). Distruggere dunque. Distruggere il corpo, il dolore, l’idea di Dio. Distruggere per concimare, distruggere per fecondare quel caos che è l’unica certezza e raggiungere un ordine, se pure inconsapevole. E nella sottrazione di sé il vuoto comincia a suonare il suo canto e a far vibrare la carne, la pelle, le ossa..
E con questo canto che mi sottraggo anche io sperando di aver lasciato in chi legge la curiosità di approfondire la conoscenza di questa artista.
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Lucia Lo Cascio